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LOCARNO 2023 Fuori concorso

Recensione: Lovano Supreme

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- Il documentario di Franco Maresco offre un ritratto del celebre polistrumentista jazz Joe Lovano ma ha un enorme problema: la narrazione in voice-over del regista sovrasta tutto in modo didascalico

Recensione: Lovano Supreme

Presentato fuori concorso in occasione del Festival del Cinema di Locarno di quest’anno, il lungometraggio documentario Lovano Supreme di Franco Maresco si propone come un ritratto della vita e del lavoro musicale del celebre polistrumentista jazz Joe Lovano, nato a Cleveland nel 1952 da genitori di origine siciliane.

Il film alterna delle sequenze girate in occasione di un recente soggiorno del musicista in Sicilia ad una gran quantità di materiale d’archivio ed alcune interviste girate ad hoc. Nonostante la narrazione disponga di un buon ritmo e potrebbe incontrare le aspettative degli appassionati di jazz, Maresco sceglie l’approccio forse più banale e sbrigativo per raccontare il suo protagonista: quasi tutto è unicamente svelato, descritto ed enfatizzato dalla sua voice over. A tratti ciò che il regista dice sembra semplicemente letto da un foglio di carta, a tratti è fastidiosamente didascalico e finisce per verbalizzare tutte le emozioni e le percezioni di Lovano. Talvolta, queste emozioni e percezioni sono visibili attraverso ciò che vediamo sullo schermo; in altre circostanze, invece, sembrano limitarsi a supposizioni e pensieri dello stesso Maresco.

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Questo uso del voice over finisce inevitabilmente per rendere la visione del film piuttosto frustrante e prevedibile. Per esempio, in una scena scopriamo che Lovano, dopo aver incontrato Ravi, il figlio di John Coltrane, riesce a visitare nuovamente la sua residenza storica, all’interno della quale il musicista nativo di Hamlet ha vissuto dai tempi del suo album A Love Supreme fino alla sua scomparsa. Qui Maresco racconta con largo anticipo quello che succederà: ci informerà che, sovrastato dall’emozione di ritrovarsi di nuovo in quel luogo, Lovano deciderà di improvvisare alcune note al sassofono. Dopo questo suo “annuncio,” vedremo Lovano suonare per pochi secondi appena. Viene facilmente da chiedersi se questa possa essere la scelta migliore per raccontare un episodio del genere. La presenza solitaria di Lovano al sassofono, senza troppe spiegazioni iniziali, sarebbe risultata molto più d’impatto.

Gradualmente, la presenza del commento di Maresco si fa sempre più ingombrante, per poi iniziare a diradarsi – ma non troppo – nel corso della seconda metà del film. Non appena Maresco si fa da parte, tutto si fa più autentico ed interessante: in una scena di circa cinque minuti, per esempio, vediamo Lovano libero di conversare con alcuni studenti e suggerisce, con un linguaggio tra il pratico ed il filosofico, di cercare di sentire gli spiriti di maestri come Max Roach e Cannonball Adderley durante le loro performance.

Anche questa scena, purtroppo, viene interrotta prima da un servizio giornalistico di un’emittente regionale (presentato in forma integrale e commentato da un anchorman in maniera alquanto pomposa) e poi ancora dalla voce dello stesso Maresco.

Nel complesso, Lovano Supreme risulta un lavoro zoppicante, che non riesce a sfruttare pienamente la presenza di tantissimi grandi classici della musica jazz e di un protagonista carismatico, pronto a condividere le sue storie con il pubblico. Tra l’altro, la selezione di un film dal linguaggio così smaccatamente televisivo in un contesto festivaliero come quello di Locarno fa fatica ad essere giustificato, poiché Lovano Supreme sembra più simile ai prodotti delle Teche Rai che ad un vero e proprio documentario cinematografico.

Per concludere, sarebbe stato necessario ascoltare meno la voce appassionata di Maresco e fermarsi per dare più spazio e conoscere ancor più da vicino Lovano. Ciò che comunque riesce ad emergere piuttosto bene è la natura spirituale del jazz e, più in generale, la potenza della musica come linguaggio capace di attraversare i secoli, nonché superiore e precedente alla parola stessa.

Lovano Supreme è una produzione firmata da Qoomoon e dall’Associazione Culturale Lumpen.

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